L’Open Day: un’occasione per mettersi in gioco pubblicamente
L’esperienza dell’Open Day per i ragazzi delle medie e la scoperta di sè
La giornata di Open Day è un momento importantissimo nel percorso della scuola secondaria di I grado: non solo permette di far conoscere da vicino l’esperienza scolastica e il lavoro didattico alle famiglie e ai futuri iscritti, ma è anche un punto di sintesi e di verifica per i docenti ma soprattutto per i ragazzi, che vivono questa giornata da protagonisti mettendosi in gioco pubblicamente, per capire di più chi sono, cosa li interessa e di cosa si scoprono capaci.
Come racconta questa studentessa:
Il fascino della scienza
“Quest’anno a novembre la scuola ha organizzato un open day. I prof ci hanno chiesto di scegliere che materia esporre. Io ero molto indecisa tra italiano e scienze. In entrambe le materie stavamo trattando argomenti molto interessanti, il mare in poesia e il DNA in scienze. Da due anni a questa parte ho scoperto che trovo molto affascinanti le materie umanistiche, che ti fanno entrare nella mente delle persone, ma anche quelle scientifiche perché te ne fanno comprendere il funzionamento. Alla fine ho optato per scienze.
DNA: è solo questione di chimica?
Iniziavo parlando delle teorie dello scopritore del DNA, Watson. Egli credeva che tutta la nostra vita e le nostre decisioni fossero già scritte nel nostro DNA sin dalla nascita. “La vita umana non è nulla di speciale, nient’altro che una questione di chimica”, diceva. Watson ha passato una vita intera ad affermare e diffondere le sue teorie, anche quando la scienza iniziava a dimostrare il contrario. Dopo aver citato alcune frasi di Watson smentivo le sue teorie, parlando di fatti reali, e facendo degli esempi. Sono passata poi a parlare di epigenetica, la scienza che studia come l’ambiente modifica cosa viene letto del nostro DNA. Dimostra che l’ambiente che ci circonda, gli avvenimenti che ci capitano, le emozioni che proviamo, come per esempio lo stress, influiscono sul nostro DNA. Mi collegavo poi ad un libro che abbiamo letto quest’estate come compito di italiano. Il libro, dal titolo “Imperfetti”, racconta di un Sistema creato perché sia perfetto, dove le persone vengono create in laboratorio, in modo che non abbiano difetti; tutto è già scritto nel loro DNA, il lavoro che dovranno fare, la malattia di cui moriranno. Qualcosa però sfugge alla perfezione del sistema. Uno dei protagonisti ad esempio ha il DNA da informatico, eppure a lui piace la musica, oppure una ragazza si ammala, nonostante sia una Perfetta. Questo libro ci ha fatto capire che noi siamo molto più del nostro DNA, e che avere un DNA perfetto non è garanzia di felicità. Finivo parlando dell’incontro con Luigi Ballerini, l’autore di questo libro, che tra le tante cose che ci ha detto ha parlato dei fatti da cui ha preso spunto per la scrittura del libro, tra cui i baby designer, persone che negli Stati Uniti manipolano i geni per creare figli con caratteristiche precise scelte dai genitori.
Il messaggio che mandavo ai genitori e ai bambini mi piaceva tantissimo. Parlavo di scienza ma anche della perfezione della vita, che è speciale, è diversa per tutti e non predefinita.
L’esperienza di parlare in pubblico
La nostra stanza era l’ultima del corridoio, il mio stand l’ultimo di quelli di scienze, non aveva un tavolino, esperimenti, nulla. Ma parlavo di cose davvero importanti. Data la grande quantità di persone che è passata dalla nostra stanza, ho avuto la possibilità di ripetere e ripetere, ogni volta cambiando qualcosa, ogni volta migliorando nell’esposizione. La maggior parte degli ascoltatori rimaneva ferma e attenta, erano stupiti di scoprire cose che non sapevano, d’accordo con gli argomenti che mettevo a tema. Poi c’era chi faceva domande, chi osservava tutto; quando vedevo persone poco coinvolte, cercavo di sintetizzare e dire le cose più importanti. Sono venuti anche grandi gruppi di amici che venivano ad ascoltare tra commenti, chiacchere e risate. Parlare ai grandi gruppi era elettrizzante, soprattutto quando notavi che tutti ti ascoltavano con estrema attenzione e partecipazione.
Ad un certo punto scorgo due o tre mamme entrare con i figlioletti. Stupita le osservo dirigersi dritte verso di me, invece di partire ad ascoltare dall’introduzione come facevano tutti. Una signora, abbastanza giovane, con delicati ricciolini bruni rossastri, mi rivolge la parola e dice: “Abbiamo sentito che qui sei la più interessante, siamo curiosi di ascoltarti!” In questo momento riesco ancora a sentire la sensazione del cuore che si riempiva di una grande fierezza. Le persone a cui avevo ripetuto avevano parlato bene di me! Soddisfatta di questa piccola vittoria le rivolsi un largo sorriso e iniziai a narrare.
In sintesi, posso dire che la mia esperienza sull’open day è stata magnifica. Inizialmente mi sentivo il corpo fremere per l’emozione. Non ero in ansia, solo eccitata, in fondo dovevo parlare di cose che mi piacevano molto, trasmettere un messaggio, delle riflessioni e informazioni utili e interessanti per tutti.
Parlare, parlare e parlare, ho fatto questo per quasi metà mattinata, ed è stato stupendo. Ho scoperto che esporre in pubblico mi piace. Quando si raggruppavano tante persone e iniziavo a parlare, le frasi, gli aggettivi e i verbi dopo un po’ venivano da soli. Le corde vocali si davano da fare, mentre la mente lavorava veloce. Mentre ripetevo osservavo come stessi andando, i volti delle persone, la loro reazione alle mie parole. Una volta finito di ripetere pensavo a cosa era andato bene e cosa no. Oppure mi cimentavo nel percepire la mia soddisfazione, espressa in sorrisi, pelle rilassata, cuore libero dai pensieri. Ogni volta che ripenso a quel giorno mi viene una gran voglia di rivivere tutto da capo, le emozioni, lo smarrimento, la soddisfazione, la sicurezza che si addentrava in me spiegazione dopo spiegazione.”
Sara Senesi 3C