Dall’emergenza educativa all’educazione in emergenza: appunti dall’intervento del dott. Luigi Ceriani
Non va tutto bene. E collegarsi in videoconferenza non è come incontrarsi di persona. L’occasione che abbiamo avuto martedì 12 maggio, però, è stata preziosa. Per chi non c’era, riportiamo alcuni degli spunti emersi nel dialogo con Luca Luigi Ceriani, psicologo, psicoterapeuta e pedagogista che da diversi anni segue anche la Fondazione Mandelli come consulente e amico.
Di che speranza stiamo parlando? Anzitutto, per aiutarci a capire come sostenere la fatica dei bambini e dei ragazzi e come condividere questo compito tra adulti, ci vuole uno sguardo realista. L’emergenza non è finita e non sappiamo quando si potrà dire conclusa. Non è andato «tutto bene», come un’idea insana di speranza ci ha fatto credere all’inizio di questa storia. E che fosse un’idea insana, una speranza fasulla, avremmo dovuto capirlo subito, perché la speranza non elimina i rischi, né assicura contro la paura. Come dice il colonnello Mackenzie di 1917 , «la speranza è una cosa pericolosa». Una frase importante, perché mette insieme i due temi che Ceriani ha tenuto sempre in filigrana rispondendo alle domande del Rettore e dei genitori collegati in chat.
Ciò che è più urgente. Dalla prima chiusura, alla fine di febbraio, la nostra scuola ha reagito mettendo in campo l’attività di didattica a distanza. Importante e necessaria, la DaD ha mantenuto il contatto tra pari e con gli insegnanti, ma questo, sul lungo periodo, non basta. Quando il Preside Molla caricò sul sito della Fondazione il suo saluto con la lettura di Chissà come si divertivano, di Asimov , abbiamo forse pensato che qualche settimana di didattica “alternativa” non sarebbe stata un problema per nessuno. Dopo due mesi e mezzo, sappiamo che la didattica in presenza è da ripristinare al più presto. E non tanto, o non soltanto, per la necessità di imparare più cose e meglio, quanto piuttosto per un bisogno di vita che c’è e non può essere rinviato.
Affrontare la lotta. In questi mesi, dicono gli insegnanti, bambini e ragazzi ci hanno sorpresi con la loro vitalità e positività. Eppure noi temiamo sempre che possano «perdere delle opportunità». Forse è un problema nostro più che dei ragazzi… In ogni caso, come aiutarli a vivere l’esperienza della scuola con intensità e soddisfazione? E come si fa a non trasmettere loro il pericoloso pensiero – virus insidiosissimo – che la vita è bella solo quando e se gli imprevisti non la sfiorano? Il motto di De Coubertin, di cui si cita sempre solo l’inizio, è molto interessante: «La cosa più importante non è vincere, è partecipare… non è il trionfo, ma la lotta e l’impegno… Diffondere questi principi, vuol dire costruire un’umanità più valorosa e, soprattutto, più scrupolosa e generosa».
Il compito dell’adulto. Ceriani lo ha sottolineato più volte: dato che il rischio è una condizione che fa parte del vivere, è necessario affrontare la paura. La crisi va attraversata, anzi si cresce per crisi. La crisi generata dal Covid-19, ricordandoci che si può morire oggi e che tutti moriremo, ha messo in luce che nella vita non possiamo perdere tempo, perché il tempo della vita non è infinito. Le cose “vanno male”, non quando non va tutto bene, ma quando mancano le ragioni per affrontare le difficoltà, i pericoli, la paura. Dunque il compito di ogni adulto, genitore o insegnante che sia, è affermare (o ritrovare) il senso della vita, l’unica armatura che serve davvero ai nostri figli.
Il compito della scuola. Cosa hanno perso e cosa hanno guadagnato? Non hanno fatto scuola come “bisognerebbe farla”, ma che occasione straordinaria hanno avuto di vedere la realtà così com’è! Questa situazione ha reso più trasparente che il compito della scuola, alleata della famiglia, è insegnare a stare al mondo (le famose soft skills…). Sperimentare un nuovo modo di fare scuola, essere presenti, misurarsi con strumenti diversi, trovarsi su un percorso insolito. I nostri ragazzi e i nostri bambini hanno sfoderato risorse inaspettate e straordinarie. Hanno visto maestre e professori pronti a mettersi in gioco e a cambiare rotta, senza paura, e li hanno seguiti.
A proposto della paura. Non è del bambino il pensiero della morte. Se per strada scappa avanti sfidando il traffico, lo fa perché sa che di ogni pericolo si occupa sua madre, a due passi da lui. In questo affidamento c’è la sua certezza. Anche nel caso del coronavirus, dobbiamo fare attenzione che sui bambini non gravino le nostre paure. Questo significa che dobbiamo fingere di non avere mai paura? Certamente no. E cosa dire ai bambini che, turbati dalle notizie e dalle immagini che hanno visto, sono inquieti, spaventati, temono di perdere i genitori? L’adulto può ammettere di avere paura, ma deve anche dire che la paura deve e può essere affrontata. La citazione tratta da un altro film, Batman begins mostra il rapporto paterno sano, che aiuta ad affrontare lo sconforto, il fallimento, la paura. Cadere si può, ma «perché cadiamo? Per imparare a rimetterci in piedi». Questo è il messaggio che deve arrivare ai nostri figli, attraverso gli adulti che li circondano, in famiglia e nella scuola.
Ancora sul rischio. D’altro canto, insiste Ceriani, la paura è utile. «Da alpinista, se non avessi paura non sarei prudente. Senza quel mediatore psicologico che si chiama paura non potremmo vivere». Ogni raccomandazione, comunque, è efficace se credibile. Ad affrontare la paura, quindi il rischio, dobbiamo iniziare noi. Soprattutto quando si tratta di credere nelle risorse dei nostri figli! Al bambino che non dorme a causa di una fiaba che lo ha spaventato, non bisogna dire: «Tranquillo, era solo una fiaba… e poi a Milano i lupi non ci sono!», ma: «Dovessero anche arrivare i lupi, tuo padre c’è». Accompagnati, i bambini possono affrontare la paura. Tutti possiamo farlo.
La famiglia è una risorsa. Una delle belle scoperte dell’emergenza è che i legami familiari sono una risorsa. In particolare, la convivenza forzata tra genitori e figli è stata un’occasione di condivisione impensabile. Molti giovani, poi, hanno capito che “fare famiglia” non è un obiettivo da rimandare… il virus ha risvegliato il desiderio di generare, di avere spazi propri. È un aspetto di crescita! Un’altra rivelazione è l’atteggiamento non oppositivo degli adolescenti. Hanno accettato la situazione e hanno fatto di necessità virtù (sono puntuali a lezione, trovano modi alternativi per “incontrarsi”, si dimostrano obbedienti alle circostanze). Domandiamoci se, in tempi “normali”, non sia la nostra timidezza nell’affermare delle regole a renderli più ribelli…
Le inevitabili conseguenze. Questi mesi di vita anomala avranno delle conseguenze, non solo economiche, anche psicologiche, sociali. Le stanno già avendo. Che effetto avrà questa angoscia diffusa sui nostri figli? Lascerà certamente dei segni, in ciascuno diversi. Diceva Freud che il problema non è la quantità o la qualità di esposizione all’angoscia, ma la capacità dell’io di rielaborarla. Ogni bambino reagirà a modo suo: per qualcuno sarà come aver bevuto un bicchiere d’acqua, per qualcun altro ci vorrà più tempo a ritrovare la serenità, ma quella lotta lo farà crescere.
Ci vogliono le relazioni e ci vuoi tu. Come si guadagna la resilienza, cioè la capacità di affrontare gli eventi traumatici in modo positivo, riorganizzando la vita, senza bloccarsi? La resilienza è possibile quando le cose hanno un senso. Riaffermare il senso spetta alla libertà di ciascuno, ma è un esercizio che, in compagnia, è più lieve. Quanto è angosciante l’idea di morire da soli… eppure, quando muori, sei tu a morire. In alcuni momenti della vita siamo chiamati a stare da soli. Se la nostra vita ha senso, si può. Più della mano dell’altro, ad accompagnarci è la certezza che l’altro ci ha trasmesso.
E si torna alla speranza. «Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei» è una delle massime più note di Goethe. Dimmi con chi vai, ma anche in cosa credi, che senso dai alle cose. Su cosa poggia la volontà che serve a resistere e a lottare? Meglio ancora, che cosa rende capaci – noi e i ragazzi – di sostenere la drammaticità del presente? Nel Portico del mistero della seconda virtù di Charles Peguy la Speranza è una bambina irriducibile. Come fa a essere così resiliente? «Non va da sola». Cammina per mano alle sorelle, la Fede la Carità. «Per sperare», spiega Peguy «bisogna essere molto felici, bisogna aver ricevuto una grande grazia», cioè avere intravisto che la vita è buona, ha un destino positivo. È una possibilità che si incontra, una possibilità che hanno tutti.
La cosa più importante che possiamo comunicare ai nostri figli – e ricordarci tra noi – è questa speranza.
Cara Ronza