“Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. La gita delle terze medie a Trieste
Il titolo della gita delle terze medie riprende i versi della Divina Commedia dell’incontro tra Dante ed Ulisse. Come scrive una studentessa:
“Il suo significato è che non siamo bruti, animali, ma siamo fatti per cose grandi, e la ragione della nostra diversità è la nostra ricerca di conoscenza e di virtù. Già da questo titolo possiamo capire il significato e lo scopo di questa gita: non è stata fatta solamente per rilassarci e passare del tempo insieme, cose che sicuramente sono avvenute, ma anche per mostrarci in maniera più vicina a noi ciò che studiamo solitamente su pezzi di carta. Infatti, a mio parere, ciò che veramente può colpirti e puoi fare tuo, spesso nasce da esperienze dirette, come vedere con i propri occhi dei luoghi e dei reperti, oppure ascoltare le testimonianze di persone che hanno vissuto determinati fatti”.
A Trieste i ragazzi hanno visitato alcuni luoghi significativi della città, che testimoniano le persecuzioni e la segregazione degli Ebrei durante l’epoca nazista: una contraddizione e una ferita ancora aperta nel passato di questa città cosmopolita, per secoli crocevia di culture e religioni diverse abituate a convivere pacificamente. Un dolore che ha fatto riflettere i nostri ragazzi suscitando domande e considerazioni.
Il Ghetto ebraico di Trieste: tra le “creature della vita e del dolore”
“A Trieste, la prima cosa che abbiamo fatto è stata fare un giro di una parte della città con la guida di Andrea, un amico dei nostri professori. Un punto che mi ha colpito particolarmente di questo giro è stato il ghetto degli ebrei. Già dal suo ingresso si capisce bene che era stato fatto con l’intento di relegare qualcuno lì: è un passaggio molto stretto, con ancora i muri che mostrano che precedentemente c’era stato un cancello, che veniva chiuso per non lasciare uscire i residenti del ghetto. Le vie strettissime, i palazzi alti, per stiparci tante persone, l’ambiente che allora era ancora più trascurato, tutto ciò che c’è costituisce una grande differenza rispetto alle zone che ci sono pochissimo dopo. Infatti basta attraversare un vicolo, che porta fuori dal ghetto, per respirare aria diversa: palazzi curati, pulito, aria fresca, in contrasto con la trasandatezza e l’aria viziata del ghetto. Qui abbiamo anche avuto modo di leggere un paio di poesie di Umberto Saba, anch’egli di Trieste. Una in particolare mi ha colpito, “Città vecchia”: racconta che spesso, per tornare a casa, il poeta percorreva quelle strade affollate, popolate da persone non considerate molto raccomandabili; lui però, in quelle persone, nell’umiltà, trovava l’infinito, quelle stesse persone, prostitute, marinai, dentro di loro avevano i suoi stessi desideri. Dice che “sono tutte creature della vita e del dolore”, gli uomini hanno tutti lo stesso valore e lo stesso diritto di vivere”. (Erica Mombelli 3B)
“La settimana scorsa, durante la gita, abbiamo visitato la città di Trieste; questo è un luogo dove convivono diverse culture, religioni, persone che si sono trovate a vivere nella stessa città attirate da un grande porto dove si poteva commerciare liberamente. L’incrocio di diverse popolazioni emerge camminando per le strade; si passa in breve da una grande piazza con statue, palazzi e vista sul mare al ghetto ebraico, dove gli ebrei erano costretti a vivere isolati dal resto della città, in vie strette, buie o sporche. La differenza della cultura ebraica rispetto alla nostra è risultata evidente quando abbiamo visitato una sinagoga; all’interno l’edificio appariva totalmente diverso da una chiesa, e ascoltando la guida mi ha colpita come la religione ebraica e la loro cultura possa essere così diversa dalla nostra. Eppure, nonostante queste differenze, abitanti italiani ed ebrei convivevano da sempre a Trieste, condividendo la stessa città; improvvisamente però, con l’arrivo del fascismo e delle persecuzioni razziali, gli ebrei cominciarono ad essere discriminati, con la sola colpa di appartenere a un certo popolo. Qui mi è sorta una domanda: gli abitanti di Trieste, che fino a poco tempo prima avevano vissuto insieme agli ebrei e avevano condiviso con loro il luogo dove vivevano, come potevano farsi convincere così facilmente da chi voleva ottenere la loro approvazione facendogli credere che gli ebrei fossero poco più di animali, esseri inferiori e indegni di vivere? Non si rendevano conto che al fianco avevano sempre avuto uomini al pari di loro? Ebbene, essi, passati rapidamente dalla monarchia assoluta degli Asburgo al fascismo e al nazismo, avevano cominciato ad accettare le cose così come erano loro imposte smettendo di farsi domande.” (Agata Moscatelli 3B)
La risiera di San Sabba: il campo di concentramento e la scelta dell’indifferenza
“La risiera di San Sabba è stata utilizzata dai nazisti durante il periodo di occupazione come campo di concentramento e sterminio. Una cosa che mi ha colpito particolarmente è stata l’indifferenza degli abitanti delle case nei pressi di questa risiera: sapevano benissimo cosa stava accadendo, spesso erano perfino costretti a chiudere le finestre per evitare che le ceneri dei prigionieri liberate al vento entrassero dentro casa. Sapevano, ma non hanno fatto nulla per fermare qualunque cosa stesse accadendo. Quest’indifferenza è stato ciò che ha veramente permesso lo svolgersi di tutte queste ingiustizie. Non hanno fatto niente forse per paura, forse per passare inosservati e sperare che non prendessero anche loro, o forse perché semplicemente preferivano non farsi domande ed andare avanti indisturbati con la loro vita, sperando di non essere catturati anche loro. Io stessa, provando ad immedesimarmi in situazioni simili, non so se riuscirei a reagire in qualche modo, esponendomi e mettendomi in pericolo. Rimanere con la testa abbassata, uniformandosi a ciò che ti dicono di pensare è spesso, se non sempre, la scelta più facile“. (Erica Mombelli 3B)
Placido Cortese e la scelta di restare umano
“Mi ha colpito il fatto che la guida, portandoci alla Risiera di San Sabba, ci ha fatto capire chiaramente che un posto come quello poteva funzionare solo quando la gente smetteva di farsi domande; gli ebrei qui venivano deportati dopo essere stati arrestati senza motivazione, poi selezionati, rinchiusi nelle celle di tortura senza luce, aria e cibo, trasferiti in altri campi di concentramento o uccisi nei forni crematori. Questa esperienza disumana e ingiusta lasciava i triestini completamente indifferenti: essi, abitando vicino alla risiera, vedevano le ceneri uscire dal forno e chiudevano le finestre, senza chiedersi nulla, mentre chi era pagato dai nazisti per selezionare gli oggetti sottratti ai prigionieri evitava di fare e di farsi domande. La capacità di farsi domande, di cercare risposte, di ragionare e giudicare se una cosa è bene o male è data solo all’uomo, eppure c’è chi sceglie di perdere parte della sua umanità adeguandosi alle ingiustizie di cui è testimone ma che si rifiuta di guardare. In mezzo alla disumanità e all’indifferenza c’è però chi è capace di conservare il proprio lato umano; ciò è emerso dalla storia che abbiamo sentito riguardo a un frate francescano, Placido Cortese, il quale pur rinchiuso nella risiera di San Sabba, torturato e poi ucciso si è rifiutato di tradire i propri amici o alcuni partigiani e patrioti rivelando il luogo in cui si nascondevano. Non si è mosso di un passo davanti a ciò che aveva dovuto soffrire, preferendo dare la propria vita per salvare gli altri piuttosto che per salvare sé, e dal suo esempio emerge come l’uomo, anche nelle condizioni più disperate, possa conservare il proprio valore e la propria grandezza utilizzando la propria libertà in modo differente; tutti sono chiamati a scegliere il bene o il male, l’indifferenza o l’umanità.” (Agata Moscatelli 3B)