“La scuola più bella del mondo è… la mia”. Il secondo incontro con Silvio Cattarina
Come si fa a far capire ad un adolescente che ha valore, a prescindere dal giudizio degli altri?
Con questa domanda si è aperto lo scorso 20 febbraio il secondo incontro (che è possibile ascoltare sul podcast della Fondazione Mandelli Rodari al link in fondo a questo articolo) con Silvio Cattarina, psicologo, sociologo, educatore, fondatore della comunità L’imprevisto, promosso dall’Associazione Genitori e la Fondazione Mandelli Rodari.
Provocatorio anche il titolo di questo secondo incontro, “La scuola più bella del mondo è…la mia”, che, dopo l’affondo sulla famiglia del primo incontro (articolo e podcast qui) ha voluto mettere a tema la presenza di un’altra realtà educativa importante nella vita dei ragazzi: la scuola.
Imparare a parlarsi
Questa stessa domanda posta sui ragazzi – ha esordito Cattarina – potremmo farcela noi stessi: come fai a far capire a tuo marito che vale, che è importante che ci sia? Bisogna dirselo! E’ un lavoro, è la grande scommessa che abbiamo tra le mani: aiutarci a capire che è interessante stare al mondo! e per farlo capire all’altro occorre innanzitutto averne coscienza, essere convinti noi di quello che si dice, e allora passa, magari con un po’ di fatica, con un po’ di lentezza, non avverrà subito, ma sicuramente lascerà un segno.
Mia mamma – ricordava Cattarina – cantava sempre, e in un tema mi sono chiesto: “Ma se mia mamma canta sempre, a chi dà il suo cuore?”. La mia insegnante ha valorizzato molto quanto io avevo scritto, mi ha detto: tu hai un valore, coltivalo!
Noi facciamo fatica a dire ai nostri figli che hanno un valore. Io con i miei ragazzi ho imparato a farlo, ma con i miei figli facevo più fatica, e mia moglie me lo fece notare. Me ne sono reso conto e ho cominciato a chiedere a mia figlia: “Sei davanti ad una Grande Presenza? Chiedi tutto alla vita? Gridi a Dio che ti dia tutto, che ti chiami a grandi cose?”.
Bisogna parlare! dobbiamo tirare fuori le cose dal nostro cuore!
Quando Dante incontra Beatrice per la prima volta in Paradiso si blocca, non parla, e Beatrice si arrabbia: “Manda fuor la vampa del tuo disir / perchè t’ausi a dir la sete che hai”*: cioè, voglio un uomo vero che sappia dire il bisogno di vita che ha, che sappia gridare tutto il bisogno d’amore, di bellezza, di giustizia che ha.
Ci fanno credere che ci manca qualcosa, che per vivere abbiamo bisogno di esperti, ma non è così, nel nostro cuore abbiamo tutto!
Non esiste che il presente
Ma come aiutare i ragazzi a non fuggire dal presente? Quando ci si sveglia al mattino si attende, si desidera, ci si augura che sia una buona giornata. La vita è questa attesa, bisogna guardarsi così. Non esiste che quest’ora, ci sono io, ci sei tu. Perchè, come dice don Giussani, il tempo non è qualcosa che passa, ma è qualcuno che viene.
La frase più bella che ci si dice in amore non è tanto quanto sei bella, quanto ti amo…, ma “È proprio vero che tu ci sei? che dono prezioso che sei”. E nel Cristianesimo una delle preghiere più belle è: “Vieni Signore Gesù” oppure “Eccomi manda me”. Per questo all’adolescente dobbiamo dire “Tu sei un valore perché tu sei la più grande sorpresa che ci è accaduta”.
Come mio padre – ha raccontato Cattarina – che alla mamma di un mio amico che aveva appena perso il padre disse: “Anna, è successo a te”, e al mio amico: “Tony, hai capito quello che è successo? Dovrai lavorare il doppio”. Una frase dura, ma che valore ha dato a questa donna e a questo bambino mio papà! Li ha richiamati ad un impegno, ha detto: siate forti, fate la vostra parte, noi vi aiuteremo, ma state nel presente! il presente è un grande impegno, è una fatica.
Il lavoro della scuola: la speranza
E la scuola che ruolo ha nel contesto sociale e culturale in cui viviamo? Essa – ci ha detto Cattarina – tiene aperte, lavora sulle grandi domande della vita, anche attraverso le materie, perché lavora sul valore della persona, sul valore della vita, il motivo per cui siamo al mondo. Si tratta di un grande lavoro di speranza, cioè di bene, di positività, di progresso, in un mondo caratterizzato da una passività, occorre educare i ragazzi con un allenamento al sacrificio.
La scuola parla di vita e io l’ho scoperto con i miei ragazzi, che dicono “io sono cambiato quando ho toccato il fondo”. Ho sempre pensato che il fondo fosse buio, invece il fondo è luminosissimo, è l’arrivo di una mano, di uno sguardo di un insegnante, di un bidello. La scuola dice che il mondo, la vita è luminosa: non può essere scuola se non ha questo sguardo di luce.
La vita come dono
Ma come introdurre ai ragazzi l’ipotesi della fede?
Dio è nel cuore dei ragazzi da sempre e per sempre – ha risposto Cattarina – I più piccoli sono i più privilegiati, i più bisognosi, poi a poco a poco si ribellano, viene la fatica. Ma l’educazione alla fede è far capire che la vita è data, c’è chi la fa, chi la sostiene.
I ragazzi pensano che il problema della vita è la riuscita, ma se fosse solo questo sarebbe una cosa troppo misera, il cuore sarebbe sempre insoddisfatto: il valore non sei tu né gli altri che te lo danno. Io chiedo tutto perché le cose che riesco a fare sono date, sono un dono.
Uno sguardo di bene su di sè
Anche la vita di Lorenzo, un giovane universitario ospitato per due anni nella comunità L’imprevisto per problemi di tossicodipendenza che avevamo già conosciuto al primo incontro, è stata investita da questa certezza del Bene.
Quando sono arrivato in comunità – ha raccontato Lorenzo – vivevo un grande fallimento, e vedendo mio padre piangere pensavo di essere il figlio sbagliato. Col tempo ho capito che le sue erano lacrime di gioia, era fiero di me, che ero riuscito a chiedere aiuto. Ma come si fa a chiedere aiuto e voler bene anche al male che si è fatto? Per me è stato un lavoro duro, che è partito dallo sguardo che ho sentito su di me: non ero giudicato per il mio passato, anche se il mio passato veniva giudicato.
In comunità ho vissuto tante privazioni, anche di cose positive (il rapporto con la famiglia e la morosa) ma non ero mai abbandonato, ero sempre in dialogo, per rendermi conto del valore di ciò che avevo. La certezza grandissima di Silvio è la certezza in Dio, e io la desidero per me.
Lorenzo era arrabbiato – ha raccontato Cattarina – non parlava, ma si capiva che attendeva tanto, come ogni ragazzo, attendeva tutto. Lui era in competizione con i fratelli, ma la competizione è giusta (significa chiedere insieme), purché non sia fatta tra uomini, è la competizione a chi spera di più, a chi arriva prima a Dio.
Occorre amare tutto e tutti, anche il male fatto, perché sulla croce bisogna salire per capire, ma con le braccia aperte. Questa è la vera competizione, altrimenti non si cresce, non si sa amare: nella vita bisogna sapere per amare, capire per amare, amare per perdonare e perdonare per abbracciare.
Per Lorenzo il perdonarsi è stata la questione più grande da affrontare, sia in comunità che oggi, tutti i giorni: vedevo i miei genitori che mi perdonavano subito – racconta – e mi facevano rabbia, perché perdonarsi è più difficile che stare male.
Voler bene alle mie ferite è stato possibile perché qualcuno mi ha perdonato, i miei genitori e prima di tutto Dio. Se sono dove sono è anche grazie al male che c’è stato, e il bene è più grande di qualsiasi grande male.
E i ragazzi che hanno paura della vita, di non riuscire, attendono solo uno che dice: la vita ti vuole, l’amore c’è, cerca la vita! Come ha fatto la sorella di Lorenzo, che davanti alla sua paura di sbagliare uscito dalla comunità gli ha detto: “non è importante se sbagli, ma non rinnegare il bene che hai vissuto!” il valore della tua persona non sei tu, non sono le tue azioni, il valore è un bene ricevuto, un incontro fatto. E al centro non ci sei tu, ma qualcun’altro.
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