Le terze medie a Trieste sulle tracce del Novecento
“Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”
Inf. XXVI v. 119
Ripercorrere la storia del ‘900 alla ricerca della verità
Le terze medie sono appena rientrate dall’uscita didattica a Trieste: una bella esperienza di convivenza tra alunni e docenti al termine del triennio, ma soprattutto un viaggio in cui, mettendo a tema alcuni aspetti fondamentali della storia del ‘900, i ragazzi hanno visitato luoghi significativi e incontrato esperienze di uomini che hanno giocato la loro libertà per affermare ciò che è vero e giusto.
Il carcere di Padova e i carcerati della Cooperativa Giotto
Il primo giorno, sulla strada per Trieste, i ragazzi hanno fatto tappa a Padova, per incontrare alcuni carcerati della Cooperativa Giotto del Carcere di Padova.
Il primo dei tanti incontri significativi che i ragazzi hanno potuto fare in questi tre giorni davvero densi, a confronto con uomini che hanno scelto di cambiare e giocare la loro libertà per il bene.
Non esistono persone cattive
“Durante la prima tappa della gita abbiamo avuto l’opportunità di incontrare alcuni carcerati e il rappresentante della Cooperativa Giotto. Grazie a questo incontro abbiamo potuto ascoltare la testimonianza di Marzio e Michele, due carcerati, e di Nicola Boscoletto, collaboratore della Cooperativa. La storia che più mi ha colpito è stata quella di Michele, che si è sentito non voluto per tutta la vita, e viveva senza uno scopo. Aveva incominciato a commettere un reato dopo l’altro, perché non aveva niente da perdere, e nessuno si era preso la briga di fermarlo, di fargli notare l’errore che stava commettendo. Tutto questo è durato per moltissimo tempo, fino a quando qualcuno l’ha finalmente preso sul serio e ha iniziato ad aiutarlo. La Giotto ha donato un’opportunità a questo ragazzo, gli ha dato la possibilità di spendersi per qualcosa di bello, di cambiare. Questa storia mi ha insegnato che abbiamo bisogno degli altri, che è solo grazie ai miei amici, ai miei genitori e alle persone che mi stanno accanto che sono quello che sono oggi, con i miei pregi e i miei difetti. Ho scoperto anche che l’errore non ci definisce, ed il male non è mai l’ultima parola su un uomo. […] Non esistono persone cattive, ci sono solamente persone che sono state educate al male e che hanno solo bisogno che qualcuno o qualcosa gli ricordi il valore che hanno veramente, e che sono capaci di fare anche del bene. Grazie a questi incontri ho capito meglio anche il titolo di questa gita: “Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”. Questi versi di Dante ricordano ancora oggi che l’uomo non è un animale, ma ha il dono di possedere una coscienza, dei sentimenti e un’umanità grandiosi. Anche i carcerati possono applicare questa frase alla loro vita, perché hanno commesso degli errori, accecati magari dal male o dall’ignoranza, dimenticando il loro valore più profondo. Poi però si sono ricordati di essere degli uomini, di avere tra le mani una cosa preziosissima, la vita, e sono rinati. “Esiste solo un bene, la conoscenza, e solo un male, l’ignoranza” – Socrate. (Nicola Renesto)
Homo viator
Le terzine di Dante Alighieri sono state da sempre una di quelle pietre miliari della letteratura che mai muoiono e non smettono di avere un profondo significato parlando al cuore dell’uomo: ancora oggi, non è scontato che un gruppo di ragazzi e insegnanti in gita scelgano lo stesso slogan che ormai da anni accompagna i carcerati della Cooperativa Giotto, impegnati nel loro percorso di redenzione. Redenzione, sì. Perché durante l’incontro con i detenuti Michele e Marzio, accompagnati da Nicola, si poteva notare, soprattutto nel primo, una strana luce negli occhi quando, per esempio, parlava della sua famiglia e del fatto che i suoi figli andavano a scuola; emozione che contrastava con il resto della figura che nominando il carcere si afflosciava addirittura su sé stessa, con la voce che si faceva roca e gli occhi persi a guardare qualcosa a noi lontano. Ad un certo punto dell’incontro il paragone con i gironi infernali danteschi è giunto spontaneo, fatto che dovrebbe far riflettere non solo su quanto una descrizione del ’300 possa essere vera ancora oggi, ma su quanto la condizione umana dei prigionieri sia disperata: una frase di Michele mi ha colpito, in cui descrivendo il suo ritornare la sera in carcere ha usato uno spaventoso termine, raccontando di come per lui si “spegnesse la luce”. Descrizione simile a quella di ambienti terribili, come appunto l’inferno di Dante e il suo avvertimento “Lasciate ogni speranza voi che entrate”, da cui solo la mano tesa di qualcuno che ha creduto in lui lo ha potuto aiutare a incamminarsi verso la fine del tunnel. Perché nella vita travagliata di Michi, la discriminazione in quanto rom nelle scuole elementari che gli impedì la giusta educazione, l’entrata nel circolo vizioso del male con furti, alcol e droga a soli dodici anni, i primi anni passati in prigione, niente e nessuno gli aveva dato la possibilità di essere ciò che era veramente, la possibilità di cambiare. Una signora gli aveva detto addirittura in faccia, uscito di prigione un po’ di anni fa, che per loro con c’era lavoro, facendolo ripiombare nella depressione e nei furti sempre più gravi. L’immagine più significativa dell’incontro è proprio una simile lasciataci da Nicola, fondatore della Giotto nel 1986: il bene può essere paragonato ad una gita in montagna, nel compierlo si fa fatica e si deve stare in cordata per sostenersi l’un l’altro, ed arrivati in cima si può veramente assaporare la pienezza di ciò che si ha compiuto, mentre il male può essere accostato ad un masso sulla vetta che, al di là della spinta iniziale, non ha più bisogno di sforzi per continuare a rotolare, con la tua libertà che non può più essere esercitata. Tuttavia, le storie di Michi e di Marzio ci hanno insegnato che il male non ha mai l’ultima parola sulla vita dell’uomo, esiste sempre un’ultima opportunità che il cuore di quest’ultimo segua ciò per cui è fatto e verso cui naturalmente tende. […] Sappiamo cosa accomuna noi, i carcerati della Cooperativa Giotto e i detenuti o SS del Lager. Rimaniamo uomini in ricerca, ciascuno di noi è un Homo Viator, come appunto, l’Ulisse di Dante. (Luigi Cafferini)
Trieste e le radici ebraiche
Dopo la mattinata trascorsa visitando l’incredibile spettacolo dell’ambiente carsico delle Grotte di Postumia, il secondo giorno è stato dedicato alla scoperta dei luoghi principali della città di Trieste, ripercorrendo la sua storia: la Sinagoga, la piazza, il ghetto ebraico – dove i ragazzi hanno ascoltato la poesia Città vecchia di Umberto Saba – e la Risiera di San Sabba, trasformata in campo di sterminio durante il periodo dell’occupazione nazista.
Può esistere il bene anche in un contesto tanto brutale?
Prima della gita a Trieste credevo che nei campi di sterminio non ci fosse spazio per il bene: come poteva esso esistere in un luogo creato per il male, cioè per uccidere degli uomini? Tutto ciò che c’era nei campi di sterminio aveva lo scopo di ammazzare tutti coloro che vi entravano da prigionieri, eppure durante la gita a Trieste, quando siamo andati a visitare la risiera di San Sabba, mi sono resa conto che il bene poteva esistere persino in un luogo orribile come questo, dove vedere dei segni di umanità era quasi impossibile.
La guida che ci ha portati a visitare questo vecchio campo di sterminio nel quale sono morte più di tremila persone, ci ha raccontato, oltre che tutte le crudeltà che le guardie hanno commesso, anche degli episodi in cui queste hanno deciso di fare del bene.
La prima scena che ci è stata raccontata è stata quella di una guardia che ha scelto di regalare un cioccolatino a un prigioniero il giorno di Natale. La seconda, invece, è stata quella di una guardia che ha salvato due ragazzi che stavano andando a morire; spingendone uno e picchiandolo, egli ha infatti fatto sì che si scatenasse una rissa e, nel caos della situazione, i due riuscirono a tornare alle loro celle.
A questo punto una domanda mi è sorta spontanea, ovvero: perché si sono verificati questi episodi di bene e umanità, se comunque quelle guardie, dopo aver fatto quei bei gesti, sono tornate al loro lavoro, a picchiare e a uccidere altre persone?
Per rispondere a questa domanda, siamo stati aiutati dalla nostra guida, Andrea, che ci ha ricordato che in fondo l’uomo è fatto per il bene. Il bene è infatti come “intrappolato” nel cuore dell’uomo e non lo si può estirpare del tutto nemmeno dal cuore della persona che ha commesso più errori e peccati di tutti.
Grazie a queste riflessioni mi è stato anche più facile capire il titolo della gita, ovvero i versi di Dante. Questi versi richiamano gli episodi che ho raccontato prima perché si vede bene come, anche nei contesti più brutali, in cui le persone vivono quasi come degli animali, siano presenti dei momenti di umanità, in cui l’uomo si ricorda che è chiamato a cose grandi, come appunto la “virtute e canoscenza” dei versi di Dante. Il titolo è inoltre un invito a guardare oltre alle nostre solite cose, ad aprire la nostra mente e i nostri orizzonti, perché anche noi siamo fatti per cose grandi. (Caterina Alberto)
Il Carso e la Grande Guerra
Il terzo giorno la visita al Museo della Grande guerra del Monte San Michele è stata l’occasione per ripercorrere gli eventi della Prima Guerra mondiale, che proprio in queste zone si è combattuta lungo il fronte italo – austriaco e del Basso Isonzo.
Un’esperienza potente, che ha permesso ai ragazzi di immedesimarsi nei soldati grazie anche all’ascolto di alcune poesie scritte in questi luoghi da Giuseppe Ungaretti: Veglia, San Martino del Carso, Sono una creatura, Fratelli.)