L’incontro con il Prof. Andrea Nembrini
Giovedì 16 dicembre gli alunni delle classi seconde e terze hanno incontrato Andrea Nembrini, preside della Luigi Giussani Primary school di Kampala, in Uganda. Ecco che cosa ci ha raccontato:
Una nuova speranza per l’Africa
Un continente “isolato dal mondo”, con credenze e culture totalmente differenti dalle nostre; un continente profondamente povero e dilaniato dalle guerre: questa, ma non solo, è l’Africa.
Povertà e guerre fanno dell’Africa un continente estremamente arretrato; la cultura è molto distante dalla nostra, la superstizione è estremamente diffusa, infatti si crede ancora nella stregoneria: quando ci si ammala, la normalità è farsi curare dallo stregone del villaggio; quando si litiga o nascono inimicizie, maledizioni e fatture sono la normalità.
Oggi però ho imparato che, sebbene la realtà dell’Africa sia molto diversa e lontana dalla nostra, le persone possono portare una nuova speranza, cambiare la realtà che le circonda.
I nostri insegnanti e il nostro preside hanno deciso di invitare nella nostra scuola il preside Andrea Nembrini, della Luigi Giussani Primary School, una scuola che si trova in Africa, precisamente in Uganda, nella capitale, Kampala.
Il preside Nembrini lavora vicino ad una baraccopoli fatta da case molto piccole e sporche nelle quali spesso vivono sette o otto persone. La baraccopoli fu costruita da una tribù che era scappata dalle violente e sanguinose guerre che avevano sconvolto i suoi territori e che aveva deciso di stabilirsi lì per sopravvivere.
Non si muore di fame, ma le donne sono costrette a lavorare tutto il giorno spaccando pietre sotto il sole cocente per procurarsi un po’ di cibo per i propri figli, ricevendo una paga equivalente ad un misero euro.
Nelle baraccopoli c’è un forte problema di alcolismo, soprattutto tra gli uomini, che spesso sono violenti nei confronti delle mogli e dei figli, che conoscono così solo aggressività e violenza.
La società in Africa è molto cruda, le punizioni sono sempre fisiche: i ladri vengono bruciati vivi, gli studenti che prendono brutti voti vengono picchiati con un bastone che viene loro battuto più volte sulla schiena.
Tanti non mostrano gentilezza nei confronti dei propri figli o dei propri studenti, perché l’atto della violenza fa parte della tradizione africana. Molti bambini, infatti, sono costretti a vivere con vicini o conoscenti, perché i genitori o sono morti o si rifiutano di tenerli; purtroppo però queste persone, che dovrebbero prendersi cura dei bambini loro affidati, spesso non se ne occupano, non li nutrono, pensando solo a nutrire i propri figli.
Ma non tutte le scuole sono così!
Una in particolare si distingue, quella appunto del preside Nembrini.
Nella scuola Luigi Giussani, i bambini hanno l’opportunità di imparare cose nuove in modo corretto e senza violenza.
Il preside afferma che ciò che gli ha fatto decidere di rimanere in Uganda è la storia della sua scuola.
È la storia di una donna, Rose, che lavorava insieme ad alcune donne malate di AIDS che erano state abbandonate dai propri mariti. Rose dava ogni mattina le medicine a queste donne, ma quando tornava a casa vedeva che le avevano gettate a terra.
Rose dava a loro una possibilità di vivere, ma loro volevano solo lasciarsi morire e questo la rendeva sempre più disperata.
Decise di recarsi in Italia per parlare con don Luigi Giussani, che le fece capire il motivo per cui queste donne volessero morire: erano disperate e pensavano di non avere più nessuna utilità, pensavano di non essere amate da nessuno.
La donna, una volta tornata in Uganda, decise di offrire alle donne qualcosa di più importante delle medicine, offrì loro la sua amicizia. “Voi avete un valore infinito”: era questo ciò che diceva loro e con queste parole fece innamorare le donne della loro stessa vita; fece capire a ciascuna di loro quanto fossero importanti, facendole sentire speciali e uniche.
Le donne ricominciarono anche a prendere le medicine e crearono delle fondazioni, dove si incontravano giornalmente per parlare, ballare e cantare.
Un giorno Rose chiese a queste donne se volessero costruire un ospedale, ma loro risposero che avrebbero preferito una scuola, per far crescere correttamente i propri figli e per far capire loro la bellezza della vita e che cosa significhi vivere. Rose non era convinta e si inventò una scusa dicendo che non aveva soldi.
Queste donne, però, erano determinate e incominciarono a lavorare duramente per raccogliere soldi. Spaccavano pietre e vendevano collane da loro prodotte tutto il giorno, tutti i giorni, e riuscirono a guadagnare abbastanza soldi per iniziare a costruire la tanto desiderata scuola, alla quale hanno voluto poi dare il nome della persona che aveva fatto capire a Rose il valore della vita: Luigi Giussani.
Questa scuola riuscì con i primi diplomati a diventare addirittura una delle migliori scuole in tutto lo stato.
Non si era mai parlato di donne così povere che, con i soldi guadagnati, decidessero di costruire una scuola. Ma quando una persona è colma di gratitudine e sa che cosa vuol dire vivere è disposta a dare aiuto a chiunque ne abbia bisogno e così hanno fatto queste donne per i loro figli.
Con questo incontro noi studenti abbiamo capito meglio che cosa vuole dire vivere davvero.
Vivere vuol dire essere liberi di fare delle scelte, vuol dire essere amati e amare, vivere vuol dire riconoscere l’immensa grandezza di ciascuno di noi, vuol dire poter studiare, perché anche la scuola e lo studio rendono liberi!
Leonardo Garbislander, classe 3B
AVSI, un’occasione non solo per l’Uganda
L’AVSI è un’associazione non a scopo di lucro nata nel 1972, che opera in 38 paesi inclusa l’Italia, con progetti di aiuto umanitario e numerose missioni.
Tra queste, ci sono alcune scuole in Uganda, un paese dell’Africa centrale dalla natura rigogliosa, con animali selvaggi e paesaggi mozzafiato come il famoso Lago Victoria. È un paese molto povero, completamente devastato dalla guerra tribale, caratterizzata dal disumano fenomeno dei bambini-soldato e che si è conclusa ormai quindici anni fa, ma dalla quale il paese ancora non si è ripreso. Come conseguenza di questa guerra, decine di migliaia di profughi hanno cercato rifugio a Kampala, la capitale. Qui è sorta una vera e propria baraccopoli di un’umanità disperata: tetti di lamiera, muri di fango, stanze di 3×4 metri a famiglia, queste sono le loro case.
Purtroppo in Uganda è ancora molto radicata la credenza nella magia. Ad esempio, quando una persona si ammala, piuttosto che recarsi dal medico, si rivolge allo stregone del villaggio.
Un’altra particolarità sta nel fatto che la scrittura, che viene normalmente considerata come lo spartiacque tra preistoria e storia, in Uganda è stata introdotta solo nel 1800, portata da esploratori europei, che per primi si sono addentrati in quella parte di Africa.
Le donne guadagnano ciò che equivale ad un euro spaccando pietre, e allevano da sole i propri bambini, spesso condividendo i pochi spazi con parenti violenti.
Le poche scuole presenti hanno classi numerosissime, di cento, centoventi alunni, ed è usanza diffusa picchiare gli studenti per il loro rendimento scolastico.
Proprio in questo paese, è nata la scuola primaria intitolata a don Luigi Giussani in cui lavora il preside che abbiamo incontrato, Andrea Nembrini.
Tutto è cominciato con Rose Busingye. Fin dall’inizio, questa infermiera ha preso a cuore la situazione delle donne malate di AIDS, le quali vengono scacciate dalle proprie famiglie per evitare il contagio. Per aiutarle, Rose inizialmente offriva loro gratuitamente le medicine di cui avevano bisogno, ma immancabilmente ogni volta le ritrovava per terra inutilizzate. Come poteva essere che delle persone malate non volessero guarire? Non sapendo più che cosa fare, decise di tornare in Italia per chiedere consiglio a don Luigi Giussani. Da questo incontro, Rose ha compreso che quelle donne erano malate non solo nel corpo, ma soprattutto nell’animo. Valeva la pena vivere? Valeva la pena guarire per tornare a lavorare come prima? Queste le vere domande che le tormentavano. Rose cambiò approccio: insegnò loro per prima cosa che loro erano un valore, le aiutò a comprendere che la loro assenza sarebbe stata una grave perdita per tutti, un vuoto immenso che non si sarebbe più potuto riempire.
A ciascuno di noi servirebbe sentirsi dire che si è più grandi del male che si ha in sé.
Le donne di Rose rinacquero, formando una comunità che si ritrovava regolarmente per stare insieme, ballare e divertirsi. Lo chiameranno Meeting Point, e lì scopriranno un nuovo valore nella propria vita. Non solo quello della povertà, della miseria, del lavoro faticoso, ma quello più grande e bello della gioia e della condivisione.
Ora le donne di Rose continuano il loro estenuante lavoro, ma lo fanno con un sorriso sincero sulle labbra.
Quando Rose propose loro di raccogliere soldi per costruire un ospedale, tutte unite rifiutarono: preferirono erigere una scuola per i propri figli, affinché anche loro potessero comprendere ciò che Rose aveva insegnato loro, ossia che ciascuno era un valore infinito ed era desiderato.
È sorta così la scuola che ora ha come preside Andrea Nembrini, grazie soprattutto alle donazioni di molte persone in altri paesi, ma anche per l’impegno con cui queste donne hanno lavorato, con rinnovata forza. Questa scuola, che si distingue dalla miseria che si incontra nella città, è un edificio pulito e curato, perché anche il luogo in cui si vive è importante e prezioso. Il custode all’ingresso è armato di arco e frecce, perché ci tiene a difendere una cosa tanto bella che è costata molto a così tante persone. È una scuola primaria della durata di sette anni in cui tutti gli alunni indossano un’uniforme e vengono accuditi, ma purtroppo molto spesso si ammalano di tifo, perché la questione igienica in quel paese è ancora irrisolta.
Dalla esperienza di vita di queste persone, che solo con grandi e quotidiani sacrifici riescono ad ottenere cose che da noi sono date per scontate, credo che si possano imparare molte cose.
Giovanni Arzeni, classe 2B