Luigi Ballerini parla dei nostri ragazzi connessi e iper-connessi: le sfide per noi adulti
Riflessioni e indicazioni per genitori su come educare i ragazzi all’uso del digitale
L’incontro con Luigi Ballerini promosso dalle scuole della Fondazione Mandelli Rodari e dall’Associazione Genitori come primo appuntamento della “scuola genitori” di quest’anno ha avuto come tema un aspetto complesso e sempre più urgente, con il quale tutti noi dobbiamo quotidianamente a fare i conti: i nostri ragazzi e la loro relazione con il digitale attraverso lo smartphone, i video giochi e, più in generale, l’accesso alla rete.
“Sto con cellulare”: una nuova modalità di relazione con le cose e con il mondo
“Cosa fai quando hai del tempo libero?” chiede sempre la Prof. Fertoli ai ragazzi di quinta elementare che si iscriveranno alla scuola media. E molto spesso la risposta è “Sto col cellulare”: quasi fosse una presenza fisica, un’amicizia fisica.
Per i nostri ragazzi, anche piccoli, la dimensione della connessione in rete è una dimensione quotidiana e facilmente praticata, soprattutto dopo la Pandemia.
Per questo abbiamo chiesto a Luigi Ballerini – psicoanalista, scrittore e giornalista che ha una frequentazione assidua con il mondo dei ragazzi (e che ha incontrato anche i nostri ragazzi di terza media LEGGLI L’ARTICOLO QUI) – di introdurci alla problematica aperta da questa nuova modalità di relazione con le cose e con il mondo mediata dalla Rete.
L’intelligenza digitale è vera intelligenza?
Si tratta di un tema che desta giustamente preoccupazione, ma sono 5000 anni che i giovani preoccupano i padri! Così ha esordito Ballerini citando testi dell’antichità, dall’antico Egitto a Esiodo, Platone e Seneca…
Abbiamo dunque ragione a porci il problema, ma quello che dobbiamo chiederci è: perché i nostri ragazzi stanno con il cellulare? Cosa ci ha fatto lo smartphone? Perché ci piace così tanto?
Il digitale ha cambiato la forma dell’intelligenza, introducendo un’intelligenza binaria, “one click”, che impone cioè scelte binarie, clicco o non clicco, mentre l’intelligenza della vita non è mai binaria, la vita è molto più complessa, non dà mai solo due opzioni, ma impone delle scelte, una verifica, un giudizio.
Il digitale ha stravolto l’approccio al disegno o al gioco: l’esperienza del disegno è un’esperienza che coinvolge tutti i sensi e tutta la corporeità, non è strisciare il dito su una superficie di vetro. Il digitale ci fa pensare che gioco sia solo videogioco, e la dimensione corporea del gioco tende ad essere ridotta essenzialmente alla vista e all’udito. E così la capacità di concentrazione è cambiata tantissimo, si è ridotta, perché questi strumenti sono un distrattore potentissimo, e i ragazzi lo sanno. Così un pomeriggio passato davanti ai libri con accanto uno smartphone che continuamente invia notifiche dà al ragazzo l’impressione di aver studiato, ma in realtà non gli ha permesso di fare davvero suo quello che aveva davanti agli occhi. Perché?
Perché la Rete ci dà la possibilità di vedere tantissime cose contemporaneamente, mentre la scuola è anacronistica: chiede lentezza, chiede un passo dopo l’altro, è il contrario dell’immediatezza del digitale, che ci vuole far credere che la conoscenza avvenga attraverso le immagini, mentre essa avviene attraverso l’esperienza.
Le 4 promesse del digitale
Come affermava 10 anni fa Sherry Turkle nel suo libro “Alone Together”, la rete, soprattutto grazie ai Social, ci fa tre promesse, a cui Ballerini ne ha aggiunta una quarta. Tutte promesse all’apparenza bellissime, che si rivelano però delle gabbie:
- puoi sempre essere altrove
puoi sfuggire alla realtà in qualsiasi momento (sono a scuola ma non sono a scuola)
- avrai sempre degli ascoltatori automatici
non devi preoccuparti di suscitare il loro interesse, i rapporti sono molto più semplici, e puoi selezionarli senza fare i conti con chi non ti piace (come disse Bauman: vivrete in una bolla, e non saprete più rendere conto di ciò in cui credete)
- non sarai mai solo
ma in realtà hai dei surrogati di rapporto
- puoi sempre mostrare una versione diversa di te stesso
ma questo è faticosissimo, richiede un enorme consumo di energia, di pensiero, di preoccupazione
La sfida col virtuale si vince nel reale
In un momento in cui la realtà si è smaterializzata – posso giocare a calcio senza sbucciarmi le ginocchia, posso pensare di essere capace di cucinare perché guardo MasterChef – il compito di noi genitori è un’educazione in offerta, offrire il reale.
Funzionerà sempre meno quella che era tradizionalmente l’educazione in sottrazione, da sempre sbagliata: sei andato male in inglese non vai agli allenamenti. Non facciamo mancare ai ragazzi le occasioni di ripresa di contatto con la realtà, cioè con luoghi fisici dove stare: la sfida col virtuale si vince nel reale!
Se c’è un reale interessante, affascinante e coinvolgente, questo vince il virtuale, perché la realtà è più potente del virtuale, e il virtuale si mette al servizio di questo reale.
La nostra sfida non è solamente il controllo, che dobbiamo comunque esercitare, ma nell’aprire lo sguardo sulla realtà, nella certezza che la realtà è positiva, è un posto bello dove stare (altrimenti avrebbero ragione a rifugiarsi nel virtuale dove si sta bene, la pensano tutti come me, sono protetto…).
Piuttosto che temere degli strumenti, dobbiamo operare educativamente affinché questi strumenti si mettano al servizio del bello e del positivo che c’è.
Controllo sì, ma insieme all’educazione
Certamente anche il controllo è necessario, perché non possiamo abbandonare i nostri figli da soli in rete, per cui tutto ciò che è controllo parentale, i sistemi che impediscono l’accesso a un certo tipo di contenuti, tutto questo è doveroso.
Diverso è il tema del controllo come tracciamento, la logica del puro controllo, che non sarà mai possibile al 100% e aumenta la loro scaltrezza, la capacità di sottrarsi al controllo.
La vera protezione per i ragazzi è aiutarli ad esercitare un giudizio su di sé e sulla realtà. L’unico fattore su cui potremo contare è il giudizio e lo spirito critico dei nostri figli. Per questo vinceremo la sfida se lavoriamo sull’educazione.
Dobbiamo appellarci alla loro capacità di giudicare la realtà, perché i nostri ragazzi sono molto meno brufolosi e stupidi di quanto crediamo.